ISSN 2974-508

Veneto

Marco Bolzonella
Altichiero da Zevio, particolare, Cappella di S. Giacomo, Basilica di S.Antonio, Padova
  Il Veneto nel medioevo: considerazioni introduttive su una regione ‘invisibile’
In apertura credo sia opportuno sottolineare che, nel lasso cronologico oggetto del progetto AtLiVe, un Veneto, correlabile all’attuale regione amministrativa, non esisteva. Il termine stesso di “Veneto” (o meglio di Venezie, Venezia Tridentina, Venezia Giulia o, ancora, Tre Venezie, nelle denominazioni proposte dal linguista goriziano Graziadio Isaia Ascoli), come di recente è stato osservato con puntualità in una ampia panoramica storica dedicata alla regione, è ottocentesco, diffusosi nella congiuntura storica e culturale posteriore alla Seconda guerra di Indipendenza: del resto, ancora verso la fine del Settecento, si aveva piena coscienza dell’esistenza e della persistenza di un riferimento istituzionale risalente ai secoli altomedioevali (Marca Trevigiana e Veronese) quale comune denominatore dello spazio corrispondente alla sola Terraferma veneta, Venezia e subregione lagunare, quindi, escluse.
Nel corso del pieno medioevo la Regione che oggi si denomina Veneto nei documenti e nelle cronache del tempo era suddivisa in una parte continentale (la già citata Marca) e nell’area delle ‘Venezie’ (abitata dai ‘Veneti’) in riferimento alla civitas Veneciarum e ai centri insulari o costieri soggetti all’autorità dogale, all’incirca, da Grado sino a Cavarzere. A tale riguardo Salimbene de Adam, cronista francescano di origine emiliana, sul finire del Duecento rimarcava la differenza esistente fra Marca Trevigiana (Marchia Tarvisina) e l’‘altro mondo’ lagunare veneziano (Venetiae) (Salimbene De Adam, Cronica, sub voce, Trivisina, Marchia). Qualche decennio dopo, nel commento di Guizzardo da Bologna e Castellano da Bassano all’Ecerinis del padovano Albertino Mussato, fu sottolineato che la Marca comprendeva oltre alla zona di Treviso buona parte del solo Veneto di terraferma sino a Verona:
Marchia autem haec, […], continet tres civitates, scilicet Paduam, Vincentiam, Tarvisium et mediam Veronam, scilicet eam partem quam dividit flumen Atticis, qui per Veronam effluit: et totus hic principatus sub nomine civitatis Tarvisii denominatus est. (Mussato, Ecerinide, p. 138).
Un cronista attivo nell’età di Dante come il ferrarese Riccobaldo, addirittura, considerava che poteva essere ritenuta parte integrante della Marca pure la città di Ferrara mentre Benvenuto da Imola, autorevole commentatore dantesco, al contrario considerava senza ombra di dubbio Verona, Padova e pure Venezia come le principali e più importanti città della Marca. Dante Alighieri, poi, fornì un significativo dato geografico descrivendo, nel IX canto del Paradiso, che le Venezie coinciderebbero con la «parte de la terra prava italica che siede tra Rialto e le fontane di Brenta e di Piava» o con la regione che «Tagliamento e Adice richiude» (Alighieri, Commedia, Paradiso, IX, 25-27, 44). Il poeta fiorentino specificò, nel De vulgari eloquentia, inoltre, che dal punto di vista linguistico (e pure politico) l’area veneta era contraddistinta da due evidenti poli: da un lato la Marchia Trivisiana (il cui baricentro era costituito da Verona, Vicenza, Treviso e Padova), dall’altro lo spazio del dogado (il comune Veneciarum o meglio Venetiis) (Alighieri,Opere, libro 1, cap. 10, par. 5-6; cap. 14, par. 3).
Insomma, al netto delle significative considerazioni estrapolate da alcune autorevoli voci dell’epoca e prendendo in esame quanto hanno puntualizzato in sede storiografica, negli ultimi decenni, alcuni degli storici più accorti come Sante Bortolami, Andrea Castagnetti, Silvana Collodo, Ermanno Orlando, Gherardo Ortalli, Daniela Rando e Gian Maria Varanini è doveroso sottolineare l’eterogeneità istituzionale, geografica, sociale ed economica dell’area regionale in questione lungo tutta l’età medioevale: da un lato vi era un ‘Veneto’ di terraferma dotato di una sua peculiare identità dall’altro il cosiddetto ducatus Veneciarum.
Scopo di questo breve excursus è quello di delineare sinteticamente l’evoluzione storica del territorio corrispondente pressappoco al Veneto odierno concentrando, però, l’attenzione sulla Marca, denominata, come diremo, prima Marca Veronese poi Marca Trevigiana, nell’arco cronologico compreso fra l’età dell’imperatore Federico I Barbarossa e l’inizio del predominio visconteo su buona parte dell’entroterra veneto. Sullo sfondo resterà, nelle note seguenti quasi come un ‘convitato di pietra’, Venezia. La città di s. Marco, infatti, sino ai primi decenni del Trecento, esercitò un influsso soprattutto economico-sociale (ma in una certa misura pure politico) in grado differente negli spazi distrettuali dell’entroterra veneto: molto forte su Treviso e Padova meno intenso e intermittente su Vicenza e Verona. Venezia, fu, insomma, tra XII e XIII secolo, una sorta di ‘variabile’ esterna che, però, palesò tutto il suo peso specifico già nel corso degli anni Trenta-Quaranta del XIV secolo e, soprattutto, con altissima intensità nel primo decennio del Quattrocento quando, tra 1404 e 1405, assoggettò in rapida sequenza Vicenza, Belluno, Feltre, Verona e Padova che entrarono così a far parte dello stato da Terra marciano. Un punto di svolta, quest’ultimo, che può essere considerato quale ‘nascita’ di un primitivo concetto di spazio ‘chiuso’ regionale, ovviamente non ancora delimitabile da precisi confini ricalcabili su quelli di oggi. Un’area comprendente più distretti cittadini ‘dominati’ dalla capitale Venezia, per certi versi però, più simile al Veneto che siamo ormai abituati a considerare come un incontrovertibile dato di fatto amministrativo e istituzionale.
  La Marca Veronese-Trevigiana dall’affermazione dei comuni cittadini al predominio di Ezzelino III da Romano (seconda metà del XII secolo-1259)
La Marca denominatasi Veronese, durante la seconda metà del X secolo, era stata staccata, su impulso di Ottone I, dal Regno d’Italia e aggregata dapprima al ducato di Baviera, poi (976) al ducato di Carinzia da poco costituito: di essa facevano parte i territori di pertinenza delle città di Verona (la più importante), Vicenza, Padova e Treviso nonché delle meno rilevanti civitates (bisogna qui ribadire che per ottenere la qualifica di civitas lungo tutto il medioevo era necessario essere sede vescovile) di Ceneda (oggi Vittorio Veneto), Belluno e Feltre oltre alla contea del Friuli. Una labile ‘unione’ territoriale, in sostanza, legata a doppio filo alle vicende politiche e dinastiche in atto nella dinastia sassone che, in aggiunta, vedeva nella Marca una sicura chiave d’accesso alla penisola. Si può dire, poi, che il contesto della Marca Veronensis et Aquileiensis, agli inizi del secolo XI, coincideva de facto con l’attuale spazio geografico del Veneto di terraferma: su di esso il duca di Carinzia e marchese della Marca continuò ad esercitare (almeno sino al XII secolo), in modo però sempre più evanescente e intermittente, la propria autorità in materia giurisdizionale presiedendo placiti a Verona sino a quando l’imperatore Federico I Barbarossa concesse la facoltà di giudicare la cause di appello in alcuni comitati al marchese d’Este.
L’arco cronologico a cavallo tra XII e XIII secolo fu segnato nel Veneto continentale da un deciso intervento dei nascenti comuni cittadini teso a circoscrivere in modo più o meno sensibile la potenza politica del vescovo e degli enti ecclesiastici in genere: del resto il ceto eminente comunale era, all’epoca, composto in parte preponderante da gruppi parentali usciti dalle clientele delle Chiese cittadine con alle spalle una lunga tradizione di servizio nella milizia armata a cavallo (i cosiddetti milites).
Al di là di una complessa trama di sviluppi storici che non si può riassumere in questa sede, il dato più rilevante – guardando al lasso temporale che va dalle diete di Roncaglia (1154-1158) alla battaglia di Cortenuova (1237) – è, senza dubbio, la prepotente affermazione di Verona, Vicenza, Padova e Treviso quali grandi poli di coordinamento politico-amministrativo dei rispettivi contadi all’insegna di altrettanti governi di stampo comunale: consoli sono censiti a Verona nel 1136, a Padova nel 1138, a Vicenza nel 1147 e a Treviso nel 1162. Queste magistrature, in linea generale, nei decenni successivi si alternarono a quella podestarile assunta, per lo più, da personalità di spicco sia locali sia forestiere. Verso la fine del XII secolo i comuni, tendenzialmente, si trasformarono in organismi sempre più complessi: gli indirizzi governativi furono l’espressione di Consigli minori e maggiori che avevano pure il compito di designare il podestà quale capo dell’esecutivo e delle forze militari comunali.
Questi organismi di carattere ‘repubblicano’ in continua formazione, nella prima frazione della loro articolata vicenda storica, affrontarono, assieme agli altri federati della Lega Veronese prima e Lombarda poi, un duro scontro, nel complesso vincente, con Federico Barbarossa (1152-1190) pur di non rinunciare a diritti, libertà e autonomie in materia amministrativa, politica e fiscale rivendicati dall’imperatore svevo in occasione delle sue numerose ‘discese’ in Italia.
Risolte momentaneamente le questioni aperte con l’Impero, le città della Marca, nel primo trentennio del Duecento, furono agitate da marcati antagonismi sociali e di gruppo. In questi stessi anni, tra l’altro, bisogna rammentare che nelle fonti di origine pubblica e nella stessa cancelleria imperiale maturò il cambiamento di denominazione da Marca Veronese a Marchia Tarvisina del distretto spaziale corrispondente, come già menzionato, a buona parte dell’attuale Veneto di terraferma. Nell’estensione temporale in questione, ad ogni modo, i da Romano, i da Camino, i marchesi d’Este, i da Camposampiero, i da San Bonifacio o i Tempesta (ossia i più potenti aggregati parentali attivi sul palcoscenico socio-politico della Marca Trevigiana), in misura e con caratteristiche diverse, furono in grado di estendere la loro influenza su più contesti cittadini e di poter contare su fedeltà vassallatiche stratificate e molteplici. Queste clare et excellentes domus, pienamente inserite nelle società e nella vita politica delle città della Marca, del resto, alimentarono a loro favore la composizione delle fazioni cittadine conservando, in contemporanea, le rispettive basi di potere nei castelli sparsi nel territorio extraurbano. Una sapiente azione politica su scala non solo locale che permise a queste famiglie di coltivare ambizioni e aspirazioni di egemonia regionale o subregionale. Eloquente, a riguardo, il caso dei marchesi d’Este. Essi, radicati nell’area imperniata lungo il corso del basso Adige a cavallo dei confini meridionali della Marca, avevano quale centro di gravitazione dei propri interessi politico-fondiari svariati castelli ubicati ai margini dei colli Euganei e della pianura circostante (Este in primis). Grazie al loro forte ascendente (non solo militare ma pure ‘psicologico’ e di chiara fascinazione per ideali e stili di vita) sulle aristocrazie signorili della Marca e sui ceti dirigenti delle città comunali (in gran parte parentele legate a doppio filo alla tradizione e al prestigio cavalleresco) iniziarono a poco a poco a porsi (in particolar modo a Padova nel cui territorio godevano ormai da tempo di posizioni consolidate) come una concreta alternativa ai governi ‘repubblicani’ esercitati all’interno delle principali città venete.
Il sostanziale e sostanzioso contrasto tra opposti schieramenti partitici di dimensioni crescenti (coinvolgevano, come ricordato, larga parte degli assetti sociali di Padova, Verona, Vicenza e Treviso) si coagulò e irrobustì, sino allo scadere degli anni Venti del Duecento, in maniera esponenziale attraverso il ponte delle solidarietà partigiane: di questi embrionali ‘partiti’ assunsero la indiscussa leadership da un lato il casato dei da Romano e dall’altro quello dei marchesi d’Este.
Un punto di svolta per le vicende che caratterizzarono la vita politica nelle città della Marca, sempre più dilaniata dall’aperto conflitto fra partes, fu l’esplicita scelta di campo a favore dell’imperatore Federico II di Svevia dei fratelli Ezzelino e Alberico da Romano nel 1232. La stessa città di Verona, saldamente controllata sin dall’aprile dello stesso anno dalla pars Monticulorum fedele ad Ezzelino, divenne il solido punto di appoggio per le proiezioni della politica imperiale nell’Italia del nord-est.
Il sostegno militare dei da Romano allo Staufen fu, così, decisivo: nel 1236 e 1237 le principali città del Veneto di terraferma furono conquistate da Federico II che, nel concreto, esercitò un potere effettivo solo per brevi periodi fra 1236 e 1239. A Verona, Vicenza, Padova, Feltre, Belluno e nei rispettivi distretti, lungo gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo, il reale padrone fu Ezzelino da Romano. Egli, difatti, aveva saputo costruire attorno alla sua persona un consenso in special modo robusto nelle aree di Bassano, Marostica, Asolo, Feltre, Verona, Vicenza e del Pedemonte ma, in generale, tangibile, complesso e ramificato sia tra le parentele aristocratiche radicate nel territorio sia tra quelle con ampi interessi economici e politici in città appartenenti, in entrambi i casi, all’establishment delle varie istituzioni comunali urbane dell’intera Marca.
Il da Romano – nonostante non mancassero ampie sacche di oppositori (su tutti i marchesi d’Este, i da San Bonifacio o lo stesso fratello Alberico passato nel 1239 nel campo avverso all’imperatore), fuoriusciti (rifugiati in special modo a Ferrara e Venezia) e dissidenti colpiti dalle purghe ezzeliniane – per un ventennio esercitò una indubbia egemonia sulla terraferma veneta. Egli, del resto, come è stato osservato, «diede per la prima volta unità politica visibile al Veneto, anticipando tendenze di governo e atteggiamenti ideologici» ripresi e adottati nelle successive stagioni signorili: non a caso, nel 1318, proprio a Soncino, Matteo Visconti e Cangrande Della Scala fecero una ricognizione delle spoglie mortali di Ezzelino per omaggiarne a dovere la ‘gloriosa’ memoria. Lo stesso Federico II, forte dell’appoggio ezzeliniano, sino alla morte (1250) poteva sottolineare il raggiunto assorbimento dell’entroterra veneto e, in generale, di larga parte dell’Italia del nord-est nel fronte imperiale creando, già nel 1239, un autonomo distretto macroregionale detto appunto della Marca Trevigiana dotandolo di un vicario (avente funzioni pure di podestà) residente a Padova e comprendente, oltre alla città in riva al Bacchiglione, Verona, Vicenza, Treviso, Ceneda, Feltre, Belluno, Trento, Brescia e Mantova, quindi, con confini che andavano all’incirca dal Tagliamento al fiume Oglio.
La solida alleanza tra Federico II ed Ezzelino III da Romano, con il conseguente dominio dei due ‘soci’ sull’entroterra veneto ad esclusione di Treviso rimasta nelle mani di Alberico da Romano allontanatosi dal fratello e dalla pars imperii, fu allarmante pure per Venezia. Il comune Veneciarum, infatti, sino al 1230, si era mosso con sensibile realismo cercando di essere coinvolto il meno possibile dagli eventi che si verificavano nell’Alta Italia. Venezia, difatti, nel tentativo di tutelare i propri interessi soprattutto di natura economico-commerciale, si assicurò garanzie giurisdizionali, attraverso appositi pacta stilati di volta in volta con i soggetti politici emersi nell’intricato contesto italiano e nell’alveo dei territori dell’Impero, nonché la facoltà di godere liberamente beni e proprietà ubicati al di fuori del territorio dogale. Lungo la seconda metà degli anni Trenta del Duecento, di colpo, si era composto un fronte compatto a ridosso delle lagune e i collegamenti tra l’emporio realtino con i mercati del nord Italia diventavano sempre più incerti e complicati. Inizialmente Venezia non aderì ad alleanze antimperiali (nel 1237 non prese parte, ad esempio, alla battaglia di Cortenuova a cui parteciparono molti dei nemici di Federico II) ma poi optò per schierarsi con il papato e quanti volevano a tutti i costi evitare di essere stretti e soffocati dalle mire universalistiche progettate dallo stupor mundi svevo. I veneziani, quindi, non solo ottennero un successo di peso nel 1240 ai danni della filoimperiale Ferrara (da allora sottoposta ad un rigido controllo commerciale) ma nel 1245 arrivarono a stilare un trattato di pace con Federico II che, de facto, chiudeva la fase acuta dello scontro armato con l’Impero. All’orizzonte restava vitale però ancora la grave minaccia rappresentata da Ezzelino III esiziale per la libertà delle vie di transito padane e i complessi interessi di natura privata (finanziari e fondiari) gestiti dai veneziani nel Veneto di terraferma. Venezia, quindi, nel 1256, aderì senza indugio alla crociata bandita da Alessandro IV contro il ‘tiranno’ da Romano la cui sconfitta ristabilì alle spalle del dogado gli equilibri (precari) che avevano garantito agli uomini provenienti dalle lagune di sostenere i propri interessi commerciali.
  Dalla fine della stagione ezzeliniana alla rottura degli equilibri politici nella Marca Trevigiana (1259-1310)
In seguito alla sconfitta e all’uccisione (28 settembre 1259) durante una campagna militare in Lombardia di Ezzelino III da Romano i principali centri urbani della Marca (Treviso, Verona, Padova e Vicenza) conobbero, con tempi e risultati ovviamente difformi, un momento decisivo nell’assestamento e nell’intensificazione delle rispettive azioni politiche, giurisdizionali e fiscali tendenti a imporre la propria autorità sui relativi distretti extraurbani. Le città della Marca, insomma, si posero come potere territoriale dominante in una congiuntura storica favorevole durata, in sostanza, sino alla discesa in Italia di Enrico VII. L’Impero fu, essenzialmente, assente dai territori veneti a causa delle ripercussioni derivanti dai complicati contrasti legati alle intricate scelte dei pretendenti alla corona imperiale. Al contempo, poi, le grandi e potenti casate signorili (da Romano, marchesi d’Este, da Camino, da San Bonifacio, da Camposampiero, da Lendinara, Tempesta o, ancora, da Crespignaga) dimostravano, rispetto a quanto avvenuto nel cinquantennio precedente, una scarsa capacità di agire sulla scena politica regionale, intuendo una impossibilità reale di coagulare attorno ad esse influenze ‘partitiche’ e relazioni di fedeltà di respiro sovralocale.
Osservando i principali poli urbani della Marca – al di là della complessa trama dei singoli sviluppi sociali, economici e politici in questa sede non abbordabili – ci basterà menzionare pochi, ma indicativi, elementi delle rispettive peculiarità storiche.
A Verona, dopo la rifondazione del comune basato sul popolo organizzato in arti, iniziò a profilarsi la superiorità della famiglia dei Della Scala. Intorno agli anni Settanta, Mastino I e poi Alberto I, potevano considerarsi i padroni assoluti in città in grado di relegare le magistrature comunali ordinarie allo svolgimento di compiti meramente amministrativi.
Il ceto dirigente trevigiano ripristinò, nel ventennio postezzeliniano, l’istituto comunale. Treviso fu, però, il teatro in cui si svolse il feroce scontro aperto tra i Castelli e i da Camino: nel 1283 Gherardo da Camino, con un colpo di mano, riuscì infine ad assumere il titolo di capitano generale della città. Il Caminese non smantellò le istituzioni comunali ma si riservò però, di fatto, il diritto di sceglierne i magistrati.
Padova, tra 1260 e 1310, godette di un cinquantennio di stabilità politica e istituzionale sotto il segno degli ordinamenti comunali, divenendo non solo assoluta protagonista delle vicende politiche e militari della terraferma veneta ma pure autentico caposaldo, assieme a Milano e a Firenze, del vasto schieramento ‘guelfo’ nell’Italia centro-settentrionale. Una lunga fase repubblicana che consentì ai Padovani di ottenere una posizione di preminenza (se non proprio egemonia) sull’intera Marca Trevigiana. Padova, infatti, nel 1266 ridusse Vicenza e Bassano al ruolo di città prima ‘protette’ e poi direttamente dominate; estese la propria influenza politica in direzione di Feltre e Belluno; verso est stabilizzò i propri confini sino a ridosso delle lagune veneziane; nell’area del basso corso del fiume Adige e del Polesine, tra 1283 e 1308, inanellò una serie di successi militari e diplomatici. Gli esponenti della «comunancia populi Paduani» nello scacchiere della Bassa pianura padovana e polesana costruirono Castelbaldo su terre concesse in feudo dall’abate della Vangadizza e acquisirono i diritti giurisdizionali spettanti ai da Lendinara (ormai radicati a Padova); definirono i rapporti territoriali in loco con i marchesi d’Este (impegno di non erigere fortificazioni a Este, Cerro e Calaone); entrarono in possesso di Badia Polesine, Lusia, Venezze e, dopo gli eventi della guerra di Ferrara, Rovigo (direttamente dominata dal 1308 al 1319).
  Il Veneto di terraferma: dal predominio scaligero agli albori della dominazione viscontea (1310-1388)
Enrico VII di Lussemburgo, incoronato re di Germania ad Aquisgrana il 6 gennaio 1309, passò le Alpi in direzione dell’Italia nell’ottobre 1310 alla guida di un contingente militare con cui, nelle intenzioni, avrebbe dovuto ristabilire l’ordine in un paese sempre più diviso tra partes che, per comodità, possiamo definire da un lato guelfe e dall’altro ghibelline. Nelle città venete, ad ogni modo, la presenza di Enrico non ebbe alcun effetto pacificatore ma, al contrario, le insegne imperiali diedero una copertura ‘ideologica’ all’offensiva politica e militare dei veronesi Della Scala. Alboino e Cangrande I Della Scala, infatti, sin dal febbraio 1311 dopo essere stati nominati vicari imperiali a Verona posero le basi per aprire la lunga e articolata fase di scontro aperto con Padova. I Padovani, del resto, come evidenziato nelle note precedenti, erano al tempo l’unico avversario in grado di contendere agli scaligeri il predominio diretto sulla Marca e, per di più, avevano scelto di trincerarsi in una intransigente posizione ‘guelfa’ decisamente antimperiale.
La costante azione aggressiva condotta sia con le armi sia con notevole e indiscussa capacità strategico-diplomatica da Cangrande (rimasto solo al potere in seguito alla morte di Alboino) ebbe come risultato, in un rapido lasso di tempo, la presa di possesso di Vicenza in seguito alla concessione del vicariato imperiale sulla città berica (1312), l’occupazione di Bassano (1317), Feltre e Belluno (1321-1323), l’acquisizione della rivale storica Padova (grazie all’appoggio concreto di Marsilio da Carrara) e di Treviso (1328-1329). Alla vigilia della morte improvvisa di Cangrande avvenuta nel luglio 1329 si può dire che, citando l’epigrafe incisa sulla sua arca funebre, egli aveva ormai assoggettato tutta la Marca («totam Marchiam subegit»).
La consacrazione della supremazia scaligera sull’intero entroterra veneto era però destinata a portare Venezia ad un confronto decisivo con i signori di Verona Mastino II e Alberto II, nipoti di Cangrande, nella decisiva guerra del 1336-1338. Un conflitto che segnò in profondità gli assetti geopolitici della terraferma veneta nei decenni a venire.
Il deteriorarsi dei rapporti tra Verona e Venezia (sempre evitato con cura da Cangrande) inasprì irreversibilmente le tensioni sino ad allora latenti tra le due città. In gioco vi erano, del resto, due concezioni del tutto contrapposte dello spazio territoriale veneto: compatto, unitario e chiuso sotto un’unica dominazione per i Della Scala, preferibilmente frammentato, discontinuo e aperto per il comune Veneciarum; una condizione, quest’ultima, necessaria agli occhi dei governanti marciani per poter controllare e sfruttare al meglio le necessità primarie di natura commerciale ed economica alla base degli interessi di Venezia in terraferma. Svariate, però, furono le cause che portarono ad una aperta ostilità veneziana nei confronti di Verona quali, ad esempio, le indebite confische e le arbitrarie tassazioni sui raccolti delle proprietà marciane ubicate nei distretti di Padova e Treviso; la richiesta di tributi eccessivi per il trasporto di merci da e per Venezia; gli impedimenti posti alla libera circolazione sul Po dove, in particolare, un blocco presso Ostiglia provocò molto sdegno nella città di s. Marco; gli assalti nel Trevigiano a luoghi fortificati dei da Camino che erano stati posti sotto la protezione del doge; l’edificazione (maggio 1336) di un castello presso le saline prossime a Chioggia percepito dai veneziani come la palese intenzione scaligera di iniziare a produrre in proprio il sale per emanciparsi dal monopolio in materia gelosamente detenuto dal comune Veneciarum.
Un’ampia coalizione antiscaligera fu così promossa da Venezia e coinvolse Firenze, i Visconti, gli Estensi, Marsilio da Carrara (sino a questo momento fedele collaboratore degli scaligeri) e i Gonzaga. La conclusione della guerra (gennaio 1339) da un lato lasciò in mano scaligera solo Verona e Vicenza (ad esclusione di Bassano e del Bassanese) e dall’altro consolidò le posizioni marciane nell’entroterra veneto. I veneziani, infatti, non solo entravano in possesso diretto di Treviso e del suo distretto ma mettevano sotto stretto controllo Padova affidandola ai fedeli da Carrara (una deliberazione del Consiglio dei Rogati dell’8 luglio 1339 specificava a riguardo «non debet intellegi quod civitas Padue sit ad conditionem tyrampnorum, quia potest dici quod est nostrum statum proprium»). La città di s. Marco segnava così la prima, fondamentale, tappa del suo chiaro impegno politico e militare in terraferma.
La fine dello scontro tra i Della Scala e il comune Veneciarum, nella seconda metà del Trecento, lasciò però come eredità un precario equilibrio nel Veneto continentale. Un quadro instabile che vide la sempre più evidente superiorità militare-finanziaria di Venezia cozzare contro le ambizioni espansionistiche della Padova carrarese.
Francesco il Vecchio da Carrara, per l’appunto, decise che ormai non era più tempo di «vivere con amore di la signoria di Venexia» (Gatari, Cronaca Carrarese, p. 22) ma diede vita ad una politica tesa a contendere e a strappare definitivamente all’odiata rivale il predominio sull’entroterra. Il Seniore avviò così un vasto progetto egemonico che, inizialmente, lo portò a sottomettere Ceneda, Feltre, Belluno e Treviso. Nonostante alcune brucianti battute d’arresto (come, ad esempio, la sconfitta subita per mano sempre veneziana nel conflitto scoppiato nel 1372 per motivazioni confinarie) il culmine dell’estensione del predominio carrarese in terraferma fu raggiunto durante la cosiddetta ‘guerra di Chioggia’ (1378-1381) quando si formò una lega antiveneziana composta da Padova, Genova, il re d’Ungheria, i duchi d’Austria, il patriarca di Aquileia, gli Scaligeri, Ancona e la regina Giovanna di Napoli. Venezia, in questa circostanza, rischiò di essere travolta trovandosi chiusa in una soffocante stretta dalla quale però, a fatica e a prezzo di enormi sacrifici, riuscì ad emergere. I trattati di pace di Torino (1381) lasciarono in gran parte immutata la geografia politica dell’entroterra veneto-friulano (solo Treviso era stata ceduta al duca Leopoldo d’Austria) e intatte le ambizioni carraresi. Già nel 1384, del resto, il da Carrara rientrava in possesso di Treviso, Feltre, Belluno e si proiettava ancora una volta minaccioso verso la pianura del Friuli.
La storia veneta nel tardo medioevo conobbe un importante momento di passaggio a partire dal 1387 quando si fece minacciosa sull’intera Italia nordorientale la presenza di Gian Galeazzo Visconti. Il conte di Virtù dopo aver assoggettato Verona nel novembre 1387, nel breve volgere di pochi mesi, si impadronì di Vicenza e, soprattutto, di Padova. Il 21 novembre 1388, difatti, dopo una rapida campagna militare, mentre Francesco Novello da Carrara si stava recando a Pavia per chiedere un armistizio, le truppe milanesi entravano vittoriose nella città di s. Antonio. I patti stilati dal Visconti con Venezia nel mese di maggio furono, quindi, rispettati: Treviso e Ceneda passavano sotto il controllo dei dogi mentre rimasero a Gian Galeazzo Feltre, Belluno e Padova.
Il destino comune delle diverse città che avevano fatto parte, lungo i secoli medioevali, della Marca Veronese prima e Trevigiana poi si realizzò lungo l’ultimo decennio del Trecento e i primi anni del Quattrocento quando i Veneziani riuscirono dove avevano fallito tanto i Della Scala quanto i da Carrara: a sottomettere politicamente, in maniera stabile e non temporanea, gran parte del Veneto di terraferma.
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