ISSN 2974-508

Treviso

Marco Bolzonella
Treviso, Loggia dei Cavalieri
  Dal comune consolare all’età di Alberico da Romano (1162-1259)
La costituzione del comune a Treviso è attestata lungo gli anni Sessanta del XII secolo: le prime menzioni di consoli cittadini e di un operante collegio consolare risalgono, infatti, rispettivamente, al 1162 e al 1166. L’ossatura del ceto dirigente comunale era composta dai vassalli dell’episcopio e della canonica cattedrale cittadina, del monastero di S. Maria di Mogliano, da personalità del notabilato urbano (esperti di diritto in primis) e, soprattutto, dagli elementi della grande aristocrazia del territorio (da Prata, da Romano, da Camino, Tempesta, da Cavaso, da Rossano solo per fare qualche nome) che vedevano nella città un punto di riferimento importante per avviare un progetto politico di ampio respiro. Il comune trevigiano, sin dalla seconda metà del XII secolo, produsse un considerevole sforzo per espandere i propri confini a nord-est (costituiti sino ad allora dal limite naturale del fiume Piave) annettendo parte dei territori di pertinenza in origine di Ceneda (attuale Vittorio Veneto), Feltre, Belluno e del patriarcato di Aquileia. Treviso, allo stesso tempo, si segnalò, sino ai primi decenni del Duecento, per la rilevante capacità di inquadramento amministrativo, fiscale e politico del suo contado nonché per l’abilità nello stabilizzare a suo vantaggio i rapporti con le comunità rurali. Tale consolidamento politico e militare sia locale sia regionale (il capoluogo della Marca si inserì con crescente autorevolezza in tutte le vicende diplomatiche e militari di rilievo che coinvolsero le maggiori città venete del tempo) non pose però i presupposti per un processo di stabilità e pace all’interno delle mura cittadine. Tensioni politiche intestine sempre più gravi emersero con violenza tra le fazioni (partes) composte dai vari gruppi parentali componenti il nerbo dell’élite comunale nonostante gli sforzi compiuti per mitigare i disaccordi dalle magistrature locali e dai podestà forestieri divenuti, qui come altrove, strumento utile per provare a mediare tra gli interessi di parte.
Gli anni compresi tra il terzo e il quarto decennio del Duecento, in cui nelle fonti di origine pubblica e nella stessa cancelleria imperiale avvenne il cambiamento di denominazione da Marca veronese a Marchia tarvisina del distretto spaziale corrispondente a buona parte dell’attuale Veneto di terraferma, furono di svolta nella storia di Treviso. La città in riva al Sile sino al 1237 rimase infatti collegata a Padova, capofila dello schieramento avverso a Federico II di Svevia. Una precisa scelta di campo che si palesò in tutta la sua chiarezza nel 1235. In questo frangente i fratelli Alberico e Ezzelino III da Romano, principali sostenitori della causa dell’Impero nell’Italia nordorientale come pure discendenti di una stirpe legata da decenni a doppio filo alla vita politica e istituzionale trevigiana (tra il 1186 e il 1192, ad esempio, Ezzelino II era stato qui console e podestà), furono banditi da Treviso. Il capoluogo della Marca, ad ogni modo, capitolò nel marzo del 1237 (un mese dopo la resa di Padova) e si consegnò nelle mani del legato imperiale Geboardo di Arnstein. Il risolutivo distacco di Treviso dai rappresentanti di Federico II è, quindi, datato maggio 1239: Alberico da Romano (allontanatosi dal fratello e dalla pars imperii) assieme a Guecello e Biaquino da Camino si impossessarono di una città sempre più insofferente del controllo degli imperiali. Il primo effetto dell’occupazione albericiana fu la separazione di fatto – durata fino al 1257 quando i due da Romano si riconciliarono – fra città e territorio, quest’ultimo nella sua quasi totalità passato nelle pertinenze ezzeliniane. Alberico, comunque, governò da un lato cercando di rispettare (in via formale) l’assetto isituzionale vigente (con il mantenimento, ad esempio, del titolo podestarile) e dall’altro utilizzando ampiamente l’allontanamento coatto di quanti (nobili e non) si opponevano alla sua volontà: lo stesso Biaquino da Camino nel 1244 fu accusato di tradimento. Il da Romano fu, quindi, protagonista di una pratica politica a tratti dura e repressiva (il contemporaneo cronista Rolandino da Padova lo definì senza mezzi termini un «nuovo tiranno») ma, allo stesso tempo, sin dalla stagione dell’alleanza con Federico II, fu grande estimatore della cultura e della letteratura trobadorica e siciliana: noti sono i suoi rapporti con Sordello da Goito (amante della sorella Cunizza) e soprattutto con Uc de Saint-Circ che gli fu maestro nella composizione di testi in provenzale. La parabola albericiana iniziò un rapidissimo declino dopo la morte del fratello Ezzelino nell’autunno del 1259. Alberico dapprima trasferì nei castelli pedemontani averi e famigliari quindi si rifugiò nel 1260 a San Zenone dove fu assediato (giugno-agosto) da forze congiunte di trevigiani, padovani e vicentini. Il 26 agosto 1260 il da Romano si arrese e, nonostante le promesse di avere salva la vita in cambio sembra di un volontario esilio presso il marchese d’Este, fu subito atrocemente ucciso con la moglie Margherita e i numerosi figli.
  Il ‘nuovo’ regime comunale: dalla caduta dei da Romano alla signoria caminese (1259-1283)
I trevigiani ripristinarono l’ordinamento comunale negli ultimi mesi del 1259 (prima quindi della già menzionata condanna a morte di Alberico da Romano) agendo sin da subito con prontezza per consolidare la propria autorità sul distretto. Nell’epoca postalbericiana, infatti, Treviso grazie a strategici accordi diplomatici di varia natura, ottenne castelli, benefici, prerogative e ampie spettanze nei distretti di Oderzo, Ceneda, Asolo, Montebelluna, Conegliano, Borso del Grappa, Vidor, Onigo, Castelfranco e nella vasta zona del territorio diocesano a sud della via Postumia. Il comune, però, nonostante la promulgazione di apposite prescrizioni antimagnatizie non riuscì a ledere più di tanto i robusti diritti di natura patrimoniale, ma pure giurisdizionale, di pertinenza del ceto signorile, in larghissima parte (come in passato) dominante l’impalcatura delle stesse istituzioni comunali. Una preminenza, quella della nobiltà signorile urbanizzata (i nomi di maggior prestigio erano quelli dei da Camino, dei Guidotti, dei Collalto, dei Tempesta, dei da Vidor, dei da Crespignaga o dei da Onigo) testimoniata, sotto il punto di vista urbanistico, dalla «logia militaris» (la cosiddetta loggia dei Cavalieri) con buona probabilità datata 1276-1277, affrescata con scene di vita cavalleresca, e posta nel centro della città dove si svolgevano importanti atti pubblici come, ad esempio, il conferimento del notariato. Treviso, infine, sotto il punto di vista economico rientrò a pieno titolo nel novero delle città ‘agricole’ ed ebbe nel settore agrario e nella rendita fondiaria, per tutto il Duecento, un indiscutibile centro di gravità produttivo. Il capoluogo della Marca giocava, comunque, un marginale ruolo di redistribuzione commerciale nei confronti dell’area feltrino-bellunese ma, nel complesso, le operazioni attinenti al commercio nel trevigiano permanevano sotto il vigile controllo della troppo vicina Venezia, padrona della strada di Alemagna e del traffico fluviale sul Sile. Una presenza, quella economica veneziana, che, tra l’altro, si rendeva manifesta in maniera evidente in tutto il trevigiano (con le inevitabili ripercussioni di natura sia politica sia sociale), sin dai primi decenni del XIII secolo, grazie alle vaste proprietà fondiarie soprattutto degli enti ecclesiastici marciani.
  Il governo signorile a Treviso (1283-1312)
Nel novembre 1283 Gherardo da Camino, dopo un moderato contrasto di piazza costato la vita sembra ad una sola persona, fu nominato capitano generale di Treviso. L’affermazione caminese, nel complesso, più che nei contrasti di fazione va ricercata in una serie di aspetti legati al prestigio personale e famigliare del da Camino quali, ad esempio, i robusti legami intessuti con il comune all’epoca egemone in quasi tutto il Veneto (dal 1280 è cittadino di Padova e da svariate personalità di spicco padovane, Scrovegni in primis, finanziato), l’attitudine al comando e al governo (Gherardo era capitano generale di Feltre e Belluno sin dal 1266), l’autorevolezza connessa ad uno stile di vita pienamente ‘cavalleresco’ dell’intera parentela, l’ampiezza dei diritti signorili vantati in ampi settori del territorio rurale o, ancora, l’abitudine al controllo delle istituzioni ecclesiastiche. Un insieme di fattori che consentì a Gherardo di ottenere largo consenso nel gruppo dirigente trevigiano la cui spina dorsale era formata proprio, come già ricordato, dall’aristocrazia militare affine ai caminesi per mentalità e stile di vita. La signoria del da Camino fu contrassegnata, all’esterno, dalla ricerca di una stabile amicizia con Padova, con la Ferrara estense e con il composito mondo signorile dell’area friulana (in antagonismo però con i patriarchi di Aquileia), mentre all’interno delle mura cittadine potè contare su una approvazione della società cittadina sostanziale e duratura che consentì a Treviso di godere, al contrario di quanto avvenne nelle epoche precedenti spesso segnate da violente lotte intestine, una stagione di relativa pace civica. Il periodo signorile è degno di nota, poi, per la vivacità in ambito culturale: Treviso fu nel Veneto luogo privilegiato di ricezione e trasmissione della poesia trobadorica che attirò uomini d’arte e poeti di primo piano come, ad esempio, Ferrarino da Ferrara. Lo stesso Dante, del resto, definì il signore di Treviso come il «buon Gherardo», a rimarcarne saggezza e moderazione nell’uso del potere. Rizzardo da Camino, sin dal 1301 capitano generale assieme al padre a cui succedette senza alcuna difficoltà, governò a Treviso dal 1306 al 1312.
  Dalla morte di Rizzardo da Camino alla conquista veneziana (1312-1339)
Il 5 aprile 1312 Rizzardo fu ucciso a colpi di roncola forse in seguito ad una congiura ordita da alcuni suoi stretti collaboratori che non gradirono la svolta politica filoimperiale del da Camino (dal 1311 era stato nominato vicario dell’imperatore a Treviso e nel suo territorio): si chiudeva così con un omicidio la signoria caminese. Nello stesso 1312, a dicembre – una trentina d’anni dopo il colpo di mano di Gherardo da Camino – si ripristinava ancora una volta il comune. L’establishment trevigiano, nel complicato contesto politico e diplomatico determinato dalla discesa in Italia di Enrico VII e dall’espansionismo scaligero, decise di legarsi ancora una volta a Padova, ritenuta unico baluardo credibile contro l’aggressività di Cangrande Della Scala, e a stipulare (1313) una alleanza di marca ‘guelfa’ con i Padovani, i Bolognesi, i Ferraresi e i Feltrini. In questa difficile congiuntura, ad ogni modo, le forze sociali dominanti in città non riuscirono a trovare coesione e capacità di esprimere strumenti politici o militari adeguati a difendere Treviso che, sin dal 1317, finì al centro degli interessi strategici del pretendente al trono imperiale Federico d’Asburgo detto il Bello, re dei Romani. Enrico II conte di Gorizia, sostenitore di Federico, nel 1319 fu così nominato vicario di Treviso e Conegliano proprio in nome dell’Asburgo. Nel 1323 il vicariato passò, quindi, a Enrico di Carinzia-Tirolo. La perdurante conflittualità fra le principali famiglie della nobiltà trevigiana (dal 1327 era il ‘partito’ dei Tempesta il più influente) trovò il suo punto di non ritorno nella conquista di Treviso da parte di Cangrande Della Scala nel luglio 1329. Treviso dopo la repentina morte di Cangrande (22 luglio 1329) fu affidata ai più autorevoli collaboratori di Mastino II ed Alberto II Della Scala e, in sostanza, fu sottoposta, in anni di mobilitazione bellica quasi senza interruzione, ad un duro regime fiscale da parte degli scaligeri. Treviso si presentò così all’appuntamento con la perdita definitiva dell’autodeterminazione politica in uno stato di prostrazione: nel dicembre del 1338 la guarnigione scaligera lasciò la città in riva al Sile per consegnarla ai Veneziani. La pace di Venezia (gennaio 1339) sancì la conclusione della guerra veneto-fiorentino-scaligera (1336-1338) consegnando Treviso – ad esclusione delle brevissime parentesi asburgica e carrarese – alla Repubblica marciana sino al 1381.
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