ISSN 2974-508

Rovigo

Marco Bolzonella
Un particolare del castello di Rovigo
  Il castello di Rovigo sino all’età di Obizzo I d’Este (secoli XI-XII)
L’attuale provincia di Rovigo sino ai secoli XI e XII gravitò tra l’area ferrarese, adriese e ravennate. Non a caso, sino al 1818, una parte del distretto polesano, comprendente alcune frazioni del capoluogo, fu soggetta, dal punto di vista della giurisdizione ecclesiastica, all’arcivescovo di Ravenna che per tutti i secoli di mezzo e l’età moderna fu il metropolita da cui dipendeva il vescovo adriese. Rovigo, ad ogni modo, è menzionata per la prima volta nell’838 come villa del comitato di Gavello mentre nel secolo successivo (920) proprio il vescovo di Adria, Paolo, otteneva dal pontefice il diritto di fortificare questa minuscola località che era, al tempo, solo una modesta corte agricola e un piccolissimo paese.
Il castrum di Rovigo, soggetto intorno alla metà del X secolo al controllo di grandi proprietari laici, entrò successivamente (XI secolo) in possesso di quel ramo della dinastia marchionale obertenga denominatasi d’Este che stava spostando vieppiù il centro degli interessi e delle proprie attività dalla Lunigiana alla zona centro-meridionale della Marca Veronese tra Montagnana, Monselice, Este, il Veronese e, giustappunto, il Ferrarese e il Polesine rodigino. In breve gli estensi utilizzarono Rovigo (assieme al monastero di S. Maria della Vangadizza verso cui la famiglia era sempre stata larga di ricche concessioni) come funzionale e strategico punto d’appoggio per l’esercizio dei poteri di signoria sul territorio circostante. L’unità distrettuale che faceva capo all’insediamento rodigino compare nelle fonti, a partire dalla prima metà del XII secolo, inizialmente col nome di comitato e poi con quello di visconteria.
Obizzo d’Este, primo marchese di questo nome nella storia della famiglia, nel 1191 ottenne, grazie al favore imperiale, diritti giurisdizionali sul comitato di Rovigo per sé e per «tota domo eius» (cioè per la sua casata), Il passo successivo fu l’integrazione del territorio gravitante su Rovigo nel distretto di Ferrara in parallelo ai costanti inserimenti degli estensi nelle vicende ferraresi che si conclusero, intorno alla metà del Duecento, con il loro monopolio sulla città padana. Perdeva così autonomia amministrativa la sezione del basso Adige, un tempo configurata come comitato di Gavello, al cui interno ancora nel 1077 era iscritto Rovigo. Sotto il profilo delle istituzioni ecclesiastiche, invece, il centro rodigino fece parte della diocesi di Adria, anziché di quella di Ferrara, nonostante l’assorbimento dello stesso episcopio adriese nella sfera d’influenza dei nuovi signori di Ferrara.
  Sotto il segno di casa d’Este (1200-1395)
Rovigo, come detto, fu un centro di fondamentale importanza per quanto concerne il dominio fondiario degli estensi nel Polesine. La città, allo stesso tempo, pure sotto il punto di vista strettamente urbanistico, fu segnata, nel suo lato a sinistra del fiume Adige (parte di S. Giustina), sin dal XII secolo, dalla crescente presenza di proprietà private dei marchesi d’Este. I vari membri della famiglia entrarono nel tempo in possesso di svariati immobili che non solo svolsero l’indispensabile funzione di sicuro e comodo pied-à-terre, proprio in questo settore cittadino costruirono la loro dimora padronale (domus marchionis) adibita pure a luogo di raccolta dei prodotti derivanti dai beni patrimoniali disseminati nel contado, ma furono in grado di marcare in maniera indelebile lo stesso tessuto insediativo in loco. Nel corso del Duecento, peraltro, la città polesana non fu sede secondaria di residenza per gli uomini di casa d’Este: lungo gli anni Novanta del secolo, ad esempio, Obizzo III, sin da quando fu emancipato, abitò per lo più proprio a Rovigo insieme con il fratello maggiore. Qualche decennio più tardi, inoltre, si celebrarono sempre nel capoluogo polesano le fastose cerimonie riservate per l’arrivo di Giovanna Pepoli promessa sposa di Obizzo e consanguinea di Romeo Pepoli, ossia una delle figure guelfe di maggior spicco della vita pubblica ed economica non solo di Bologna ma della stessa Italia padana. Insomma, il legame fra Rovigo e gli estensi nel pieno medioevo fu davvero intimo e profondo.
Nell’ultimo ventennio del XIII secolo iniziò a manifestare i propri interessi sull’area polesana il comune di Padova approfittando delle ricorrenti crisi dinastiche scoppiate in seno agli Estensi. Sin dal 1283 i Padovani acquisirono i diritti giurisdizionali spettanti ai da Lendinara (ormai saldamente radicati in Padova) e ai loro parenti veneziani Badoer sull’omonimo castello ubicato lungo l’Adige. Tra il 1292 e il 1294 la «comunancia populi Paduani» prima ruppe la lunga alleanza stabilita con i marchesi d’Este quindi si coalizzò con Alberto I Della Scala. Mosse strategiche che fruttarono alla città del Bacchiglione il conseguimento di Badia Polesine, Lusia, Venezze e altre località contermini. Nel 1298, inoltre, l’abate del monastero della Vangadizza, al centro di una notevole enclave territoriale strutturata lungo il basso corso del fiume Adige, stipulò un atto di chiara sottomissione al comune di Padova perdendo tutti i diritti giurisdizionali su Badia e i villaggi soggetti salvaguardando solo i possessi monastici dislocati nel Padovano. L’espansione di Padova nella bassa pianura atesina raggiunse il massimo sviluppo nel 1308 quando, a seguito della guerra di Ferrara, fu conquistata proprio Rovigo. La dominazione ‘straniera’ su questo castello fu però di breve durata: nel 1319, quale contraccolpo della crisi dell’istituzione comunale padovana, il podestà inviato da Padova, Gusberto Capodivacca, fuggì da Rovigo che ritornò così sotto il saldo controllo estense assieme a Badia e a Lendinara.
La definizione dei quadri territoriali lungo il margine meridionale della Marca Trevigiana avvenne nel corso del Trecento, nuovamente sotto l’egida estense: i distretti di Badia, Lendinara, Rovigo restarono autonomi ma la sede del capitano del Polesine fu fissata nel 1327 proprio all’interno del castrum Rodigii, da secoli caro agli estensi, che, in conseguenza, assunse un ruolo di preminenza in questa subregione dell’Italia padana.
Rovigo, ormai vero e proprio caposaldo estense nello scacchiere polesano, doveva possedere intorno alla seconda metà del Trecento una fisionomia urbanistica di base molto simile a quella descritta nel 1483 da Marin Sanudo, il noto storico ed annalista veneziano, nel corso di un lungo itinerario compiuto attraverso la terraferma. Il centro rodigino si presentava – stando alle parole del giovane patrizio – come una terra, ossia un agglomerato semi-urbano, dotata di un autonomo sistema difensivo con porte d’accesso, fossati, terrapieni, suddivisa nei lati di S. Stefano e S. Giustina (rispettivamente alla destra e alla sinistra dell’alveo dell’Adige), la cui fisionomia abitativa, economica, amministrativa e la consistenza demografica non potevano ancora essere equiparate a quelle di una ‘città’ vera e propria (per essere qualificata quale civitas avrebbe dovuto, tra l’altro, accogliere una sede vescovile). In questa sede basterà solo rammentare che Rovigo, ancora nel 1548, ad esempio, aveva una popolazione stimata sulle 2.473 anime, molto inferiore quindi a quella di Treviso (11.798 abitanti), Padova (34.075), Vicenza (30.948), Verona (52.109), Brescia (42.660), Bergamo (17.707) ed in linea, invece, con gli standard di centri più piccoli come la vicina Montagnana (2.500/3.000 abitanti) o la ben più lontana Feltre (3.844).
Nel XIV secolo la scena politica rodigina fu egemonizzata da un gruppo di famiglie (Manfredini, Roverella, Silvestri, Nicoli, Delaiti, solo per citare qualche nome noto) la cui consistenza patrimoniale si imperniava sulla rendita fondiaria e basava il proprio prestigio pubblico sull’appartenenza al potente collegio dei notai, sui solidi agganci con la casa d’Este ed il suo ristretto entourage o, ancora, sulla gestione di posti di rilievo nei gangli dell’organizzazione burocratica signorile ferrarese. Per tutto il Trecento, ad ogni modo, ogni ambizione di fortuna sociale si basava in loco sullo svolgimento della professione notarile e sulla speranza di cooptazione nella sua influente corporazione cittadina, l’unica attiva per tutto il periodo medioevale. Un aspetto, quello appena menzionato, per quanto concerne le dinamiche sociali rodigine che restò dato stabile sino al passaggio di Rovigo nello stato da Terra di Venezia. Nel 1395, il marchese estense, difatti, cedette in pegno (per 50.000 ducati) il Polesine: una subregione che i Veneziani governarono per oltre quarant'anni fino agli eventi bellici del 1438.
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