ISSN 2974-508
Atlante della Letteratura del Veneto Medievale - Scheda nome
Nome uniformeNicolò de' Rossi.
Forme alternativeNicolao dei Rossi, Nicolaus de Rubeis, Nicolaus de Rubeo, Nicolaus Rubeo, Nicolo di Rossi.
Dati biograficiNato a Treviso verso la fine del XIII sec. (1290-1295?), figlio di Alberto Rubeus di Burbante, appartenente ad una nobile consorteria trevigiana, studia legge a Bologna grazie ad un sussidio garantito dal Comune trevigiano, in particolare per il sostegno di Guecello Tempesta, signore di Noale e avvocato del vescovo, poi figura egemone del governo della città dal 1327 al 1329. Alla fine del 1317, dopo il conseguimento della laurea, de’ Rossi rientra nella città natale: nel 1318 è preferito a Cino da Pistoia come professore di diritto civile nello Studium trevigiano per la lectura extraordinaria delle ore pomeridiane, con incarico triennale. Da quest’anno prende parte alle vicende politiche e culturali cittadine. Prende parte parte ad esempio all’ambasceria inviata dal Comune presso Federico «per informarlo dell’operato di Cangrande della Scala, che aveva mire espansionistiche in territorio trevigiano» (Brugnolo 1974-77: II, 3) e per ottenere il riconoscimento ufficiale dell’Università di Treviso, costituita nel 1314. Stretti vincoli con Federico d’Austria emergono poi dall’epistola dell’Asburgo al Collalto del 18 febbraio 1319, in cui Nicolò, descritto come strenuus vir e fidelis noster dilectus accanto a Dietrich, vescovo di Lavant, risulta informatore circa la situazione politico-sociale di Treviso. La sua presenza come legum professor incaricato della lettura in volgare di un’epistola latina di Enrico di Gorizia, alla presenza del podestà di Treviso Febo della Torre, risale al 1321, anno in cui risulta pure testimone al testamento di Beatrice da Camino, prima moglie del conte di Gorizia. Da qui al 1329, anno in cui Cangrande della Scala – cui Nicolò, anche in quanto acerrimo guelfo, era fieramente avverso –conquista Treviso, è possibile seguire la sua presenza cittadina solo attraverso la sua produzione di poeta, che testimonia, oltre che l’amore e la dedizione al proprio Comune e alla causa guelfa, «una fervida partecipazione alle tempestose vicende politiche di quegli anni (la guerra contro Cangrande, il vario gioco di alleanze col conte di Gorizia e coi padovani, l’insurrezione contro i da Camino, le lotte intestine fra gli Azzoni e i Tempesta, la decadenza della città, ecc.)» (Brugnolo 1974-77: II, 3-4, 9-16). Dopo aver verosimilmente abbandonato Treviso a seguito della conquista della città da parte di Cangrande – per un intero decennio mancano attestazioni della sua presenza in città –, de’ Rossi torna ad essere documentato, ma questa volta ad Avignone, solo a partire dal 1339, quando risulta presso la corte di papa Benedetto XII. Nello stesso anno è autorizzato ad insediarsi come pievano nella parrocchia di sant’Apollinare a Venezia: mancano tuttavia notizie sul trasferimento effettivo sino al 1348, quando il nome di Nicolò compare nel catalogo dei parroci di sant’Apollinare come legum doctor de Tarvisio canonicus castellanus (Marchesan 1923: II, 295). A Venezia, presumibilmente, morì, nominando erede dei suoi possedimenti il Priorato di Santa Maria della Misericordia.
OpereNicolò de’ Rossi è senz'altro la personalità di maggior rilievo della cultura volgare trevigiana – e più in generale veneta – della prima metà del XIV secolo. Il suo ruolo nella storia letteraria italiana è legato, prima ancora che alla sua produzione poetica, alla sua, per così dire, attività di copista ed editore: si deve infatti alla sua iniziativa l’allestimento, eseguito alla fine degli anni ’20 del Trecento (Brugnolo, 2010: 422-458), di uno dei più importanti testimoni della poesia lirica italiana delle origini, il ms. Barberiniano latino 3953 della Biblioteca Vaticana, testimone della rapida diffusione e ricezione dei grandi modelli poetici toscani di fine Duecento e inizio Trecento nel Veneto. La questione dell’autografia e dell'imitazione dei poeti toscani da parte dei rimatori veneti del Trecento si pone anche per l’altro codice derossiano, il Colombino 7.1.32 della Biblioteca Capitolare di Siviglia, che contiene il "canzoniere" di Nicolò: 4 canzoni – una delle quali, Color di perla, dolçe mia salute, provvista di un lungo autocommento in latino – e 434 sonetti (o 435, considerando a parte la sua partecipazione, tuttora discussa, alla tenzone tridialettale in veneziano, padovano e trevisano). La disposizione pressoché cronologica delle rime derossiane nel testimone sivigliano ha permesso la datazione dell’attività versificatoria dell’autore esattamente fra il 1317-18 e il 1328-29. A dimostrazione di una cultura poetica tutt’altro che limitata (Brugnolo, 1974-77: II, 37-126), tale attività si rende pienamente partecipee rappresentativa di quello «sperimentalismo eclettico» e di quella «mescolanza degli stili» che distinguono la lirica veneta toscaneggiante del Trecento (Brugnolo, 2010, p. 242), caratterizzata dalla contaminazione delle scelte linguistiche e formali: il corpus derossiano esibisce difatti, accanto alle predominanti rime amorose (secondo il canone cortese, quello siculo-toscano e guittoniano, così come nell'adozione di movenze tipicamente stilnovistiche, senza escludere il passaggio per una più sensuale trivialità), componimenti comico-burleschi, gnomico-moraleggianti, religiosi, politico-civili.
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Responsabile schedaFabio Sangiovanni

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